Materiali per il Parco Letterario dell’Isola d’Elba

I Profili di autori elbani contemporanei di Gianfranco Vanagolli

Il volume raccoglie alcuni studi in forma di interviste rilasciate dall’Autore a Simonetta Di Sacco, titolare della Casa Editrice Le Opere e i Giorni.

Gianfranco Vanagolli è uno studioso elbano, pienamente immerso nell’ambiente culturale dell’isola senza essere un isolato, tra l’altro attivo nel Centro Nazionale di Studi Napoleonici e nella relativa rivista.

Le interviste riguardano sei autori di accertata notorietà, e più precisamente Luigi Berti, Michele Villani, Carlo Laurenzi, Raffaello Brignetti, Oreste Del Buono e Gaspare Barbiellini Amidei, tutti personaggi che hanno contribuito a far conoscere realtà e cultura elbane.

L’Elba, come tutte le isole, d’altra parte, lascia impronte indelebili in chi vi è cresciuto e costituisce un richiamo insopprimibile in questi scrittori, che se ne sono allontanati per trasferirsi nel continente, con una nostalgia sognante per quel cielo e quel mare, quei tramonti, quelle cale e calette innumerevoli e spesso sconosciute a chi non vi è stato da ragazzo.

Del primo, Luigi Berti, di Rio Marina, mi occupai anch’io, a suo tempo, in occasione di un convegno che si tenne in quella località. Berti fu una singolare figura di studioso, scrittore e traduttore, al quale si deve tra l’altro la prima storia della letteratura americana pubblicata in Italia (1950). Parlando di lui in apertura, Vanagolli offre uno spaccato del mondo culturale elbano di cui fecero parte, assieme ai personaggi già ricordati, Giorgio Varanini “vera anima” del premio Isola d’Elba, e accanto a lui Emerico Giachery, Rodolfo Doni, Vittorio Vettori, Geno Pampaloni e Giorgio Luti.

Il percorso costante per queste indagini è quello di seguire passo passo la vita degli scrittori prendendo in considerazione le opere via via prodotte. Il quadro che ne risulta è insieme puntuale e avvincente.

Gli esordi di Berti, che il padre armatore avrebbe voluto avviare alla vita sul mare, non furono facili. Riuscì a seguire studi umanistici a Firenze, solo dopo l’esperienza dell’Istituto Nautico, a Genova. L’esordio letterario può essere considerato Canzone di tempo sereno (1932), romanzo ambientato nell’isola con tutte le caratteristiche a lui ben note, come il campanilismo, con i contrasti tra Rio nell’Elba e Rio Marina e una storia d’amore altrettanto contrastata. E subito colpisce l’abbondanza dei soprannomi, tipica dell’Elba e comunque delle piccole comunità, e il richiamo a Verga o a Pirandello è obbligato.

Berti incontra poi la cultura fiorentina degli anni Trenta e gli ambienti che in quel decennio ruotavano attorno alle varie riviste, come “Solaria”, che indicarono l’avvio dell’esperienza ermetica. Da Emilio Cecchi egli apprese, inoltre, la lezione dell’americanismo. Vanagolli giustamente sottolinea il significato di questo incontro, tipico di tanti intellettuali italiani, da Pavese a Vittorini, in epoca fascista e quindi antiamericana, verso nuovi orizzonti, lungo un percorso che purtroppo sarebbe dovuto passare per gli orridi sentieri della guerra mondiale. Ma ciò non bastò, per cui i più dopo la guerra guardarono a Est e ci vollero altri anni di sofferenze perché l’Europa ritrovasse in se stessa la forza di rinnovarsi. Comunque da questi interessi e da questi sogni derivarono, tra l’altro, Americana di un Vittorini ‘anteguerra’ e la Storia di Berti. E ancora da questo sogno nel dopoguerra nacque ad opera di Berti “Inventario”, con due redazioni, una italiana e una americana. Anche il poeta gallese Dylan Thomas entrò in quell’ambiente culturale e divenne amico di Berti.

Berti, inoltre, fu poeta e la sua più viva testimonianza è rappresentata da Lettera ai castelli d’agave del 1953, opera impregnata di nostalgia per l’isola, che ormai si appannava alla memoria. In questa direzione uscirono poi Elegia elbana (1955) e altre raccolte fino a Calignarmata del 1965, una poesia piuttosto lontana dalle correnti coeve della poesia italiana, più sensibile forse al simbolismo e a una certa influenza dannunziana. Parallelamente si svolgeva l’opera di narratore su temi elbani, a partire da Storie di Rio del 1959, proseguita poi con Tramonto sull’Elba (1962) e La società del garofano rosso (1965, postumo). Di queste opere Vanagolli offre al lettore ampi stralci a testimoniare una prosa sempre tramata su un rimpianto incomprimibile di una stagione lontana, quello che lo portava, con amici scrittori, a trascorrere le sue estati all’Elba.

Di seguito: Michele Villani possiede la particolarità tra questi sei di essere sempre vissuto nell’isola, ma anche in lui il tema dominante è la nostalgia, in questo caso per un’epoca trascorsa, che compare in Anni all’isola del 1941, dove l’autore fugge dalla retorica imperante e dal mito della cultura anglosassone, inse-guendo atmosfere isolane. Villani fu soldato e rientrò fortunosamente nell’isola per poi diventare un personaggio di quel mondo culturale. Dal ’44 diresse l’“Elba” e poi si dedicò all’impegno civile e politico che lo condusse a divenire sindaco di Portoferraio dal ’68 al ’70. Bisogna attendere il 1976 perché esca il secondo libro di Villani, Bianche e gelate le strade, con la storia del protagonista Enrico, ambientata nel ’39. Ed è un’opera importante, su cui Vanagolli insiste, riportandone bei passi; un’opera che Varanini volle collocare in una linea toscana comprendente Tozzi, Bilenchi o Cassola, e che entrò nella rosa dei finalisti del Viareggio del ’76. A questo romanzo seguì nel ’78 L’inverno finirà, che pure si troverà tra i finalisti di un altro premio, il Campiello di quell’anno, e che rappresenta la continuità col precedente. Tema costante è l’antifascismo visto da chi aveva vissuto gli anni della guerra e quelle esperienze, anche se da un punto di vista appartato. La scrittura di Villani si chiuse con i racconti di I come isola, del ’79, ma che videro la luce solo nel ’94, postumi (lo scrittore mori infatti nell’81), ambientati per lo più durante il periodo anteguerra, ma anche in epoca napoleonica. Vanagolli richiama il modello del Decameron, anche in virtù di un certo diffuso erotismo, ma forse anche, direi, per il numero dei racconti, dieci.

Avevo incontrato Laurenzi in un’intervista in “Italianistica” del 1986, organizzata da Giorgio Varanini, suo vecchio amico. E ritrovo qui, ben più ampiamente trattati, gli stessi temi, come l’amore per l’isola, da cui Laurenzi si allontanò per vivere a Roma, la lettura dei poeti inglesi, il rifiuto della guerra per la sua esperienza in Croazia e per la morte del fratello nel conflitto, la sua attività giornalistica prima con “Italia libera”, poi col “Mondo” di Pannunzio e poi ancora con “La Stampa” e con “Il Corriere della Sera”. Collaborazioni sfociate in una raccolta, Due anni a Roma. Sono articoli caratterizzati dai tratti umani che distinguono Laurenzi, come l’ironia e la grande umanità che gli fanno capire anche motivazioni non sue, come la religione. Un’altra raccolta di articoli, ora dal “Mondo”, fu Toscana delusa (1961) anche questi impregnati di nostalgia per una Toscana lontana, che tra l’altro sottolineano sia l’estraneità di Laurenzi nei confronti del neorealismo, sia, individuata bene da Vanagolli, un’affettuosa attenzione per la lingua d’un tempo. Tanto più questo elemento emerge da Carovana di mare (1968), dove fu Manlio Cortelazzo a rilevare l’interesse per la lingua di mare elbana. E ricordo che questa attenzione era condivisa da Varanini. Nell’intervista in “Italianistica” Laurenzi parlava di Carovana di mare come del libro del “recupero”. Il recupero di un cenacolo di studiosi e autori elbani che si erano dispersi, come Villani, Varanini, Celebrini e Brignetti fino al giovane Barbiellini Amidei. Nel viaggio della Carovana si elencano località di mare fino a Lisbona e a Elvas, che all’autore ricorda Portoferraio. L’opera ebbe un seguito, Le rose di Cannes, del 1971. Il quale libro a sua volta, nota Vanagolli, fa da ponte a una sorta di romanzo storico su Carlo III di Borbone Parma, forse il lavoro più noto e meritevole di Laurenzi, Quell’antico amore del 1972. Di esso vengono trascritte pagine pensose:

Nessuna cellula viva può riprodursi da una cellula morta, quindi non può rammentarla. In un certo modo, la morte non c’è, o non c’è che la morte. È una menzogna accademica l’affermare che, siccome sappiamo a mente L’infinito di Leopardi, Giacomo Leopardi vive.

O ricordi al di là dell’intimo:

Mia moglie era americana: ha esaltato quella verità (o quel mito) che per noi fu l’America: la religione del lavoro, la fiducia nell’eterno, la gioia di soccorrere, la testardaggine, la gaiezza, lo scrupolo, la libertà.

E compaiono poi tutti gli altri familiari, come il padre o il fratello, i cui profili sono disegnati con delicatezza e perizia tanto più significativi quando si invade la sfera dell’autobiografia. Il romanzo ottenne il premio Selezione Campiello. Seguì nel 1973 Le voci della notte che non ebbe buona accoglienza, soprattutto per ragioni politiche. L’attività di Laurenzi proseguì poi con un volumetto di poesie, L’illusione della solennità del 1976, per il quale Varanini ebbe parole di elogio. Due anni dopo uscì Qualcuno ci sogna, un’altra puntata di quello che Vanagolli chiama “diario in pubblico”, ulteriore raccolta, la sesta, di vari articoli dei giornali cui Laurenzi indefessamente collaborò nel corso degli anni. E a questa seguirono altre raccolte, fino al 2003. Su questo scrittore Vanagolli si sofferma con particolare attenzione, mettendone in evidenza la pensosità, l’ironia e l’umanità, che ne fanno uno dei più attenti testimoni del xx secolo, finalmente capace di superare l’accecante, oscura zavorra delle ideologie.

“Alunno” di Ungaretti, vicino a tanti altri artisti romani di elezione, come Guttuso o Pasolini, Raffaello Brignetti, nato all’isola del Giglio nel 1921, vinse nel 1948 il Premio Taranto col racconto Il grande mare, che segnò la sua caratteristica di scrittore di mare. D’altra parte egli crebbe con la famiglia nei fari dell’arcipelago toscano, il che certo lo condizionò.

Nel ’52 difatti Brignetti pubblica Morte per acqua, altri racconti di mare. Né si può negare che vengono in mente altri autori legati al mare come Melville o Hemingway. Sono anche pagine venate da un trasparente pessimismo con una predilezione per le immagini di morte. Una morte che a Vanagolli ricorda, con la sua onnipresenza, un ‘trionfo’ trecentesco. Nel ’55 esce il primo romanzo, La deriva, presso Einaudi, col beneplacito di Calvino e di Vittorini che ne curò la prefazione. Mentre intensifica la sua attività di giornalista, nel ’60 Brignetti pubblica La riva di Charleston. Anche qui sulla vicenda, che si svolge su una moderna petroliera, incombe la morte. Nel ’65 Allegro parlabile fa discutere e pare ad alcuni un libro di destra e a Vanagolli soprattutto un romanzo contro un certo modo falso di vedere la Resistenza e che in effetti vuole dissacrare la neoavanguardia. Ma nel ’67 lo scrittore torna ai suoi temi prediletti con Il gabbiano azzurro, dove vengono rivisitati alcuni racconti già presenti in Morte per acqua, di cui Vanagolli sottolinea il profondo lirismo e che vince il Viareggio. L’attività di Brignetti prosegue poi instancabile, anche nella Radiotelevisione, fino alla Spiaggia d’oro del 1971. II lavoro pare a Vanagolli attraversato da una tensione superiore rispetto alle altre opere, essenziale proprio come volle il suo autore, che così ne definì la trama: “Un uomo ed una bambina su una goletta si dirigono verso un’isola”. Tutto qui. Nel ’72 Brignetti pubblica La ritrattazione di Giulio Caprilli, che si estende, da una prima giovinezza vissuta nell’impegno comunista ad un secondo momento di recupero di un passato che sembra non tanto connotato politicamente quanto semplicemente umano, fino alle ultime opere, che portano Vanagolli a giudicare lo scrittore, a prescindere dalla sua dimensione, marina o non marina, “comunque diverso, nel suo confronto con l’imponderabile quotidiano, con la tensione morale, con il senso tragico dell’esistenza”.

E si passa a Oreste Del Buono. Nato nel 1923 a Poggio Elba, visse a Milano dal 1935 e dedicò la sua prima attività al “Bertoldo” di Guareschi. Entrò, poi, nell’Accademia Navale, a Brioni, per essere internato a Innsbruck dopo l’otto settembre. Vanagolli sottolinea la sua formazione al Liceo “Berchet” di Milano, e in casa, dove, piuttosto che una formazione fascista, ricevette un’educazione legata ai valori del Risorgimento e agli ideali patriottici (Teseo Tesei, l’eroe di Malta, era suo zio). Ma la sua vera carriera di scrittore inizia con Racconto d’inverno del 1945, cui segue La parte difficile. Vanagolli si chiede se questi esordi dello scrivere di Del Buono siano o no all’insegna del neorealismo. La risposta propende per una autonomia dell’autore, cui mancano appunto chiari elementi del protocollo neorealista. Del Buono collabora poi a “Inventario” di Berti e si ricorda qui che in occasione della morte di Pavese egli vide in quel suicidio qualcosa che contamina tutta la produzione dello scrittore di cui sottolineò il perenne tormento esistenziale. Nel ’53 esce Acqua alla gola ambientato all’Elba e di cui viene qui evidenziata la vicinanza alla Deriva di Brignettì. Nel ’61, presso Feltrinelli, viene pubblicato Per pura ingratitudine, un romanzo complesso che raccoglie altri due scritti precedenti in una sorta di trilogia, che rientra comunque nella ricerca del nouveau roman e che conferisce a Del Buono !’inserimento nella più ampia narrativa europea. Gli anni ’60 segnano poi il momento più intenso della sua attività come scrittore e più in genere come operatore culturale, fino al ’71 quando pubblica I peggiori anni della nostra vita, dove Vanagolli vede un’operazione di smitizzazione del neorealismo e una presa di posizione contro la retorica resistenziale. Il suo lavoro continua indefesso fino alla morte a Roma nel 2003, con un bilancio complessivo di centinaia di articoli, romanzi, racconti, e innumerevoli traduzioni che fanno di Del Buono una delle personalità culturali di maggior spicco degli ultimi cinquant’anni dello scorso secolo.

L’ultimo autore è Gaspare Barbiellini Amidei, scomparso nel 2007. Di antica famiglia veneta trasferitasi nell’Ottocento all’Elba, nacque sul transatlantico Conte Rosso al largo di Bombay nel 1934 e visse poi lontano dall’amata Elba. La sua attività di giornalista è nota per la pagina culturale del “Corriere della Sera” che diresse dal ’67 dopo la rivista letteraria “Elsinore”. Dal ’74 diventa vicedirettore dello stesso “Corriere” e poi direttore del “Tempo” di Roma e ancora consigliere culturale di Amintore Fanfani. Vanagolli difende tuttavia il personaggio e ne sottolinea l’indipendenza. Tant’è che poi l’autore pubblica un romanzo nell’86, Storia di lei. A questa Storia, in pratica ignorata dalla critica, ma di cui si sottolineano i momenti di nostalgia per la fanciullezza trascorsa all’Elba, seguì L’amore è salvo, dove Debenedetti, con il quale concorda Vanagolli, intravide il messaggio di un cattolicesimo intransigente.

Concludendo il volume, che appare arricchito da un’amplissima bibliografia e da molte importanti illustrazioni, spesso inedite, Vanagolli afferma opportunamente che al di là di queste analisi sarebbe da approfondire il valore dell’identità, in senso lato, elbana, anche linguistica, di questo microcosmo, che tanto ha significato nella cultura toscana e italiana (oltre che nella storia, verrebbe fatto di osservare, per aver costituito un momento fondamentale del tramonto della vicenda napoleonica), anche nella prospettiva, cara a Barbiellini ed allo stesso Vanagolli, della creazione di un Parco Letterario dell’Arcipelago Toscano.

Davide De Camilli
Università degli Studi di Pisa
“Italianistica. Rivista di letteratura italiana”, XXXIX, 1, gennaio – aprile 2010)*

* Questo saggio è stato pubblicato anche sullo “Scoglio”, II, 2011.

Lascia un commento