di Gloria Peria

Un manoscritto settecentesco riporta la leggenda che i muri della chiesa della Madonna del Monte di Marciana emanino profumo di violette.  La notizia ci induce a fantasticare che presagisca, in qualche modo, la permanenza che in questo luogo, tra l’agosto e il settembre del 1814, avrebbe trascorso Napoleone Bonaparte, grande appassionato di questi fiori. E la presenza, solo nel massiccio  del Capanne, della Viola corsica ilvensis, una sottospecie endemica dell’Elba della viola corsa, è un altro rimando alla comunanza con l’ isola che dette i natali all’Imperatore.

Napoleone condivideva la passione per le violette con il grande poeta Goethe, il quale ne portava sempre con sé dei semi “…per diffondere la bellezza nel mondo…” e con la prima moglie, Giuseppina Beauharnais, che amava così tanto questi fiori da coltivarne una grande quantità tra le rose del giardino di Malmaison. In occasione del suo matrimonio con Napoleone, volle fiori di viole ricamati sul vestito da sposa  e dette personalmente ordine che piccole e graziose damigelle ne gettassero mazzolini durante il percorso nuziale. Napoleone vorrà, in seguito, che fossero piantate sulla tomba di Giuseppina e si racconta che,  prima di partire per il fatale esilio a Sant’Elena, proprio in quel luogo, avesse raccolto alcuni fiori che, essiccati e riposti in un piccolo medaglione, avrebbe tenuto con sé, gelosamente, fino alla morte. Una sorta di fil rouge lega la violetta alle mogli dell’imperatore: fu proprio Maria Luisa d’Austria, duchessa di Parma  dal 1816 al 1847, sposata in seconde nozze da Napoleone, che sancì la fortuna di questo fiore per il quale nutriva una passione illimitata e che faceva piantare ovunque.

Questo acquerello, che fa parte delle opere esposte nel Museo napoleonico romano nella sezione “Mito e sarcasmo”, sembra raffigurare un mazzetto innocente di violette ma si intitola “Viole enigmatiche” perché nasconde, ad osservarlo bene, sotto la foglia a forma di cappello napoleonico, il profilo dell’imperatore. Di fronte si può intravedere il profilo della moglie e nel centro, in basso, quello del figlio. Di queste cartoline, ispirate dal soprannome “Caporal Violetta” dato ironicamente a Napoleone al suo rientro in Francia dall’esilio dell’Elba sembra che, all’epoca, ne circolassero molte. L’imperatore aveva scelto le violette come simbolo dei giacobini in contrapposizione al giglio borbonico e sembra ancora che i suoi sostenitori, per riconoscersi, si sussurrassero la frase: aimez-vous la violette? L’associazione della violetta a Napoleone si radicò a tal punto che, ancora nel 1874, il governo francese ne vietava qualsiasi riproduzione a causa del suo simbolismo bonapartista.

Nonostante questo, la Francia ha realizzato, della coltivazione delle violette, una fonte economica non indifferente. Nella città di Tolosa, che di questo fiore ha fatto il suo simbolo, nell’ambito del festival della violetta, che si svolge ogni anno il primo fine settimana di febbraio, si possono trovare un’infinità di prodotti che usano o ricordano questo fiore: da un pane celeste profumatissimo, a gelatine aromatizzate, al miele, a saponi e profumi, a biancheria per la casa ricamata, a sacchettini profumati per i cassetti. In Italia, grande impulso alla diffusione della violetta e del suo profumo venne dal lancio commerciale della sua essenza, inaugurata nel 1870, da parte di Lodovico Borsari.

(per saperne di più: a cura di Francesca Sandrini, Maria Luigia e le violette di Parma, La storia delle violette dall’epoca napoleonica a tutto l’Ottocento, Collana Quaderni del Museo, n°10, Parma 2008).

Lascia un commento