L’agenzia Reuters ha pubblicato un articolo sul progetto agricolo che coinvolge i detenuti dell’isola di Gorgona e l’azienda Frescobaldi per la produzione di vino. Questo articolo è stato ripreso da numerose testate straniere.
Ne pubblichiamo di seguito la traduzione.

vino di gorgona

Un’isola-carcere ospita un vigneto d’eccellenza

di Barry Moody
In cima a una collina che si affaccia sul mare azzurro di una piccola isola del Mediterraneo, due uomini robusti lavorano sotto il sole in una vigna che ha recentemente messo in vendita un vino da 50 euro a bottiglia, destinato alle tavole dei migliori ristoranti.
Non si tratta tuttavia di una tenuta di lusso né di un esclusivo ritiro per ricchi, nonostante la sua tranquilla bellezza. Si tratta bensì del luogo in cui risiedono uomini condannati a sentenze di lungo termine per alcuni tra i più conosciuti e brutali crimini italiani, su un’isola che prende il nome da un mostruoso personaggio della mitologia greca, con serpenti per capelli.
Gorgona, la più piccola delle isole dell’arcipelago toscano, che include anche l’isola d’Elba, dove venne imprigionato Napoleone, è la sede di un progetto per la riabilitazione di criminali recidivi attraverso l’agricoltura.
L’isola, per 1500 un isolato rifugio per monaci anni e dal 1869 colonia penale, ha appena prodotto 2700 bottiglie di vino bianco frizzante chiamato Gorgona grazie all’aiuto di una famiglia italiana con alle spalle una tradizione come produttori di vino di 700 anni. Tra gli acquirenti anche un ristorante di Firenze da tre stelle Michelin.
I 40 reclusi di Gorgona, la maggior parte di loro condannata per omicidio, tra i quali anche un famoso sicario, producono anche maiali, verdure, polli, olio e formaggio di alta qualità.

formaggi

I due uomini sulla collina sono detenuti di lungo termine per omicidio e hanno ottenuto il trasferimento a Gorgona dopo aver passato anni in altri carceri.
C’è una lunga lista d’attesa per venire sull’isola, una destinazione altamente desiderabile in confronto con la maggior parte delle altre prigioni italiane, perennemente sovraffollate.
“Quando arrivo qua di mattina, resto colpito dalla pace. Il tempo non pesa. C’è una mentalità diversa qua”, dice uno di loro, Brian Baldissin, un trentenne tatuato e muscoloso del Veneto, il cui fratello maggiore è pure in prigione.
Il suo camerata Francesco Papa, lui pure trentenne e siciliano, concorda: “Qua è diverso. Sei all’aperto e libero. Io guido un trattore. Lavoro. Sembro una persona normale. Altrove stai per 23 ore al chiuso”.

 

Scappare da Gorgona, 37 chilometri dal porto di Livorno, è considerato impossibile, sebbene un prigioniero sia una volta scomparso e non sia mai più stato ritrovato.

La sola barca alla quale è permesso avvicinarsi alla costa rocciosa è il traghetto settimanale che porta i parenti in visita. Anche a questo non è permesso di attraccare e i passeggeri sono fatti sbarcare dalle lance della polizia.
I prigionieri vengono rinchiusi dentro soltanto durante la notte.
“AVANTI”
“Quando sono arrivato e sono sceso dalla lancia, la prima cosa che ho fatto è stata di guardarmi intorno per vedere se c’erano guardie. Poi mi hanno detto: ‘Avanti’. Sono rimasto spiazzato,” dice Umberto Prinzi, 41 anni, condannato per omicidio a 22 anni di carcere.
E’ arrivato a Gorgona dopo aver passato molti anni in altre cinque prigioni, e gli mancano tre anni di reclusione da scontare.
L’isola, parte dell’arcipelago che include anche l’ambientazione del romanzo di Alexandre Dumas “Il Conte di Montecristo”, ha un’unica residente permanente, l’ottantaseienne Luisa Citti-Corsini, una donna minuta che vive con un gatto di nome ET in una casa sopra il porto. Circa 50 vecchi residenti visitano le loro case periodicamente, soprattutto in estate.
La signora Citti-Corsini trascorre il suo tempo lavorando a maglia e leggendo. “Non mi sento affatto sola. Ho sempre il gatto” dice ai giornalisti durante la loro visita. Dice che i prigionieri sono “molto gentili”. Quando le viene chiesto se non abbia paura, risponde: “Paura di cosa?”
“Sto benissimo qua, l’aria è ottima”.
Negli anni 60 ha rischiato di rimanere soffocata da una colata di fango che la trascinò giù da una finestra della casa e la fece atterrare nel porto.

RIABILITAZIONE
Sia i prigionieri che le guardie sono forti sostenitori del regime di riabilitazione e dicono che dovrebbe essere usato anche altrove.
“Cosa fa la prigione? Una prigione come Gorgona può farti migliorare. Ma in altre strutture dove stai chiuso per 22 ore in una cella ti fanno solo peggiorare e basta” dice Prinzi. “Là le urla di disperazione resteranno dentro la tua testa per sempre”.
“Lavorare nei campi è una valvola di sfogo … se stai chiuso in una cella, puoi solo guardare la televisione e diventi scemo” aggiunge.
“Io sono fortunato. Ma ci sono migliaia e migliaia di altri che non hanno la stessa fortuna e se ne stanno rinchiusi, senza capire il perché, e quando escono commettono altri reati”.
Ancora più in alto nella vignia, il siciliano Benedetto Ceraulo, 55 anni, lavora tra gli scaffali di formaggi di latte di pecora e di mucca, tra i quali c’è anche una meravigliosa ricotta.
Ceraulo è stato condannato nel 1998 per essere stato il killer di uno dei più sensazionali crimini italiani, l’omicidio di Maurizio Gucci, l’ultimo membro della famiglia al controllo di un impero della moda, su mandato della ex moglie.
Ceraulo, che ha più volte dichiarato la propria innocenza, ha ottenuto il trasferimento a Gorgona un anno fa. “Si vive bene qua. Sei libero. Hai la possibilità di imparare, mi sento fortunato” dice.
“In altre prigioni è orribile. Vivi in una gabbia come un cane. Non va bene per un essere umano. Chiusa dentro una cella, privata di ogni cosa basilare, come della privacy, una persona diventa peggiore”.
“Qua posso vedere il mare, fare due passi. Il tempo passa”.
Non lontano Jin Zhaoli, un immigrato cinese, lavora in un ampio vivaio dove sono coltivati oltre un migliaio di pomodori, zucchini, melanzane e peperoni. E’ stato condannato per aver ucciso la moglie a 14 anni da e uscirà tra un anno. “Qua è bello”, dice.
Le vigne furono piantate a Gorgona nel 1999, ma in seguito vennero abbandonate. Sono state ripulite e ripristinate dopo il 2009 da un prigioniero siciliano che aveva la vigna a casa e oggi nuovamente in libertà, aiutato da Prinzi e Papa.
La famiglia dei Marchesi de’ Frescobaldi è comparsa nell’estate del 2012 quando la direzione della prigione ha chiesto alle imprese locali di investire nel programma agricolo. L’azienda ha inviato esperti per migliorare la cura e la raccolta delle uve, ed è stata effettuata una prima raccolta quello stesso anno.
Lamberto Frescobaldi, 30esimo della sua famiglia, vice presidente e capo della produzione di vino, dice che l’ettaro di vigna è stato posizionato in una posizione ideale, diretto a est, verso il sorgere del sole e su un terreno ricco di minerali.
I Frescobaldi, che furono prima banchieri e poi fornitori di vini per i re inglesi nel Medioevo, pagano un salario ai reclusi che lavorano per loro e poi vendono il vino.
Dovrebbero andare più o meno in pareggio con il loro investimento, dice Frescobaldi, 49 anni, sebbene, per una azienda con un volume d’affari annuale di 80 milioni di euro, non si tratti certo di un grande successo economico.
Alla domanda su cosa abbia provato al primo sorso di vino, Frescobaldi risponde: “Mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. Mi ha fatto riflettere sulle persone su quest’isola che non hanno la possibilità di andare e venire come me”.
Il direttore dell’isola, Maria Grazia Giampiccolo, è conosciuta per i suoi metodi progressisti e dirige anche una prigione all’interno della fortezza medicea a Volterra. Qua i prigionieri organizzano ogni anno “La cena del detenuto” con l’aiuto di alcuni chef locali.
E’ un’accesa sostenitrice dell’impegno dei carcerati nel lavoro creando connessioni con compagnie esterne. “Occorrono possibilità reali per reinserire I prigionieri nella società… Se la risposta è la sola prigione, sarà sempre inadeguata”.

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