Attraversare la città a piedi è sempre più difficile e penoso. Passiamo troppo tempo rinchiusi nelle nostre macchine, per andare di fretta da una parte o dall’altra, per soffermarci e rendercene conto. Chi va a piedi, o con i mezzi pubblici, patisce la mancanza di comode e soprattutto sicure aree pedonali, e di questi tempi rischia o un’insolazione o un’intossicazione. Puo’ darsi che i più reputino questa mia opinione un’esagerazione. Molto probabilmente i più non si spostano a piedi per il paese, oppure sono talmente abrutiti dal disagio dal non rendersene più conto.

Pensare di migliorare il verde urbano, e quindi la qualità della vita, in un momento di crisi economica è difficile. La cronica siccità e le condizioni atmosferiche non aiutano, ma con un piccolo sforzo iniziale sarebbe possibile arrivare ad un considerevole risultato. A volte è la semplicità la soluzione più gratificante e più ottimale.

Esistono in effetti piante “semplici” che una volta cresciute riescono a sopravvivere con un minimo di acqua e di manutenzione? basta guardarci intorno. Ricreare l'”effetto macchia” in zone urbane degradate, con cespugli alti, e non solo siepi, coprirebbe tante magagne e offrirebbe ristoro agli occhi e un po’ di fresco. A volte non servono un’aiuola, pratini ostinatamente tenuti tagliati, o centinaia di vasi di cemento. Serve solo una nuvola di verde, che “copra” e ingentilisca l’ambiente. E non e’ vero che la gente in questo modo non riuscirebbe a vedere le attività commerciali. Se gli affari andassero di pari passo con il proliferare di cartelli, di lampioni e spot luminosi ad alta potenza che molti sembrano preferire, dormiremmo tutti sonni più tranquilli.

Pensate a tutte le aiuole spelacchiate di via Cacciò e delle Saline come sarebbero se ricoperte di mesembriantemi fucsia (le unghie di strega) e avvolte in siepi fitte di macchia, piantata però accuratamente lontana dal bordo delle aiuole! e dalla parte del mare cespugli di alimo e tamerici come sulla spiaggia di Magazzini: prima, “al tempo delle canne”, il polverone non c’era.

L’onnipresente, allegro, fiorito, robusto oleandro arriva a un diametro di tre/cinque metri. Spesso lo vedo amputato, ridotto a un cespuglietto legnoso: nelle aiuole lungo la Calata, perchè non potarlo ad alberino, come lungo via Zambelli, cosi ne godremmo fiori e vista delle barche. Gli alberi nelle aiuole tra piazza Porta a Terra e via V. Emanuele (dove scrivono da anni: “benvenuti a Portoferraio”) non solo sono belli folti con le foglie di un bel verde scuro, ma sono anche fioriti, perchè non piantarli anche nelle zone piu’ assolate e desolate?

Vi immaginate l’impressione che potrebbe conservare un turista che si dà appuntamento in “Viale degli Olivi” invece che in via Manganaro, oppure se Calata Italia diventasse un viale di lecci, con la loro ombra fitta, alberi resistenti che possono vivere più di mille anni? o un ospite che sbarchi a Portoferraio, dopo l’ardua prova del porto di Piombino, e trovi vialetti di alberi frondosi e freschi e panchine proprio nel momento di massima calura; o un visitatore a primavera (coraggioso!) che prende un caffe’ in “piazza delle Ginestre” davanti al Conadone. La gente oggi si dimentica che l’Elba profuma.

Ricordo cosi bene i giardini dei nonni, nei vialetti e dietro le case c’era un bel fresco, anche d’agosto, e tanti profumi, a seconda delle stagioni, delle fioriture o delle bacche colorate. Sono passati davvero tanti anni, i giovani forse non lo sanno, ormai si corre troppo, si pensa solo all’effetto immediato, da design. Eppure noi elbani siamo imprenditori giovani, la terza generazione comincia solo ora, i genitori hanno la mia età, i nonni, primi imprenditori del turismo, sono ancora con noi, molti ancora attivi. Che ne è stato delle vecchie abitudini?

La città avanza al galoppo. Sono anni cruciali, importantissimi, sia per noi stessi e per Portoferraio, che per il turismo. Ci salverà solo un intervento mirato ed orientato ad un unico criterio, e non ripeto quale, perchè lo leggo in continuazione su tutti i messaggi promozionali sulla “magica” Elba. Dobbiamo essere coerenti con noi stessi, smettere di scrivere annunci pubblicitari in un modo e poi offrire una realtà che è all’opposto. Ai turisti basta poco, vengono una volta, si guardano intorno e poi decidono se tornare a farci visita o scegliere un’altra destinazione. E a noi, che si rimane, che isola ci rimane?

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